venerdì 1 aprile 2011

Quella guerra mediatica che mina i valori.

Siamo da poco entrati in guerra, nella guerra 2.0, quella fatta di informazioni e disinformazioni, di veicolazione delle conoscenze attraverso tutti gli strumenti possibili, dalla radio alla televisione (che ormai riteniamo strumenti della passata tradizione) al web, al videofonino al social network.
L’informazione viene trasmessa e veicolata attraverso un numero sempre maggiore di media nella speranza, o nel tentativo, di riportare fedelmente la realtà.
Non sono sufficienti le rassicurazioni dei Capi di Stato che, ognuno secondo la propria politica interna, mascherano bombardamenti dietro accordi o risoluzioni delle Nazioni Unite o accordi del Patto Atlantico, non è sufficiente dire che il paese non è in guerra ma sta solo rispondendo ad una chiamata ONU. Non è forse insito nel concetto di guerra quello di uccidere, danneggiare, sottomettere il nemico? E cosa sta accadendo di tanto diverso? Non abbiamo forse armato le navi, alzato gli aerei con l’obiettivo di bombardare le basi di un altro paese al fine di sottometterne la politica interna secondo il nostro principio di democrazia? Chiamiamola come vogliamo, non chiamiamola guerra, parliamo di coalizione, ma non sono nomi e parole che possono mutare l’essenza delle azioni. E’ vero, il nostro paese in questo momento non avrebbe potuto scegliere una politica diversa, ma non si intende discutere le ragioni dei conflitti, o le posizioni politiche, solo l’impatto morale sulla storia evolutiva del paese. Il tam tam mediatico è già iniziato rendendoci spettatori di un nuovo circo, il circo 2.0 quello in cui ogni mezzo di trasmissione fornisce informazioni diverse. Da un lato le reti occidentali, tutte focalizzate a mostrare la valenza dell’azione della coalizione, dall’altro le reti arabe tutte concentrate a mostrare i danni dei bombardamenti dell’occidente.
Sono comparsi anche in pompa magna tutti i pagliacci della fantapolitica, dando inizio alla consueta tarantella di informazioni discordanti, distoniche e contraddittorie. Ognuno accusa l’altro di aver causato danni irreversibili. Ogni paese chiede ragione all’altro delle azioni, degli accordi sottoscritti in passato ed ancora vigenti, esprimendo le proprie ragioni e mostrando, dal suo punto di vista, logica ineccepibile per ogni suo atto.
Questa è la fase più pericolosa della guerra 2.0, perché coinvolge tutti i cittadini che, come neosoldati in un neoruolo, si trovano a dover valutare le posizioni opposte, si trovano ad affrontare con senso critico le affermazioni dell’uno e dell’altro. Immaginiamo se Napoleone o Annubale avessero coinvolto l’intera popolazione sulle ragioni profonde dei conflitti, avessero chiesto al popolo di saper discernere sulla necessità, l’opportunità e la valenza di un conflitto? Che conquistatori sarebbero mai stati? Che comandanti?
Il coinvolgimento di questi conflitti impone nuove regole nella società e chiama ogni cittadino ad un nuovo senso di responsabilità: il neosoldato, armato solo del suo giudizio è esposto alle radiazioni mediatiche provenienti da tutto il globo, non sempre convincenti, non sempre vere, non sempre “informazioni”.
Cosa succede allora alle coscienze? Ogni cittadino è coinvolto in questo conflitto ed ogni cittadino è esposto al circo mediatico. Lo stesso circo che ci ha mostrato un Giappone in difficoltà, scoprendo che dopo solo 6 giorni già era stata ripristinata un’autostrada.
Il cittadino è chiamato ad avere una sua opinione basata su un’ingestibile quantità di informazioni che piovono senza logica e controllo, questa pioggia ha caratteri, a volte, tanto contraddittori da confondere la stessa coscienza. Mina i principi cardine delle coscienze umane questa pioggia mediatica che impone ad ognuno di saper discernere il bene dal male mostrando gli opposti da entrambe le parti. Non è più netta la differenza tra bene e male, non è così facile da distinguersi: il male si è talmente mascherato da bene da non mostrare più alcuna differenza con esso.
E c’è di più! Questo coinvolgimento chiama ognuno ed essere giudice arbitro, spostando il conflitto da esterno ad interno, da una farraginosa macchina conflittuale politica, stiamo lentamente sperimentando quanto certi atteggiamenti rappresentino un vero cancro per il senso critico, per i valori profondi della società in cui siamo cresciuti. Questa esposizione radioattiva mediatica ha divorato dall’interno la capacita di discernimento, perché la ha ricoperta di inutili orpelli informativi, di regole, di risoluzioni, di senso della giustizia fatta in casa, di economia e di soldi.
Perché ormai si è insinuato il dubbio che tutto questo polverone alzatosi nei paesi arabi, non sia l’effetto domino di una reale esigenza dei ceti medi, ma una strumentalizzazione di quell’occidente bisognoso di una politica estera “importante” per ristabilire i propri equilibri di potere e, perché no, anche economici.