mercoledì 11 giugno 2008

Verità e discrezionalità

La discrezionalità derivante da diverse opinioni sulla verità

Le dimensioni filosofica, letteraria, storica, politica, giuridica esprimono verità di estensione diversa. Ciò concorre a sostenere l’azione discrezionale, la quale, spesso non è accompagnata da dirittura morale.

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agli uomini politici tocca il controllo dei fatti. (…) [I politici] (...) dimostrano (...) di manovrare nel compromesso alla ricerca di un equilibrio, di pura natura parlamentare.
È vero, uno scrittore non deve rendere conto delle sue azioni e delle sue parole agli elettori, non è questo il suo compito, il suo compito è di ricordare la verità esprimendo sentimenti vivi e inequivocabili [1]».

«[Uno scrittore] [2]
non fa opera di politico, non ha il compito e quindi neppure il dovere della guida quotidiana, ne ha uno più alto e non si vede come si possa impedirglielo [3]».

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Non si può pensare, non si deve pensare che le faccende politiche vadano risolte nell’ambito ristretto della politica [4], rifiutando ogni sussidio di illuminazione e di approfondimento dal di fuori [5]».

Ciò che rileva non sono i fatti, ma l’opinione che ciascuno si è formato, o ha voluto assumere sui fatti:

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Gli uomini sono agitati e turbati, non dalle cose, ma dalle opinioni ch’eglino hanno delle cose [6]».

Il simbolo machiavelliano della verità effettuale sembra funzionale ad una chiara lettura dei fatti, ma tale verità è assai ardua da definire:

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Quando, la sera del 16 ottobre 1978, mi presentai alla loggia della Basilica di San Pietro per salutare i romani e i pellegrini radunati sulla piazza in attesa dell’esito del Conclave, dissi che venivo “da un Paese lontano”. In fondo la distanza geografica non era così grande. Gli aerei la superano in appena due ore di volo. Parlando di lontananza intendevo alludere alla cortina di ferro, in quel momento ancora esistente. Il Papa, che veniva da oltre la cortina di ferro, in un senso molto vero veniva da lontano, anche se in realtà egli veniva dal cuore stesso dell’Europa. Il centro geografico del continente si trova infatti in territorio polacco.
Durante gli anni della cortina di ferro, ci si era quasi dimenticati dell’Europa centrale. Si applicava in modo abbastanza meccanico la divisione in Ovest ed Est, assumendo Berlino, la capitale della Germania, come città - simbolo, appartenente per una parte alla Germania Federale e per l’altra alla Repubblica Democratica Tedesca. In realtà, tale divisione era del tutto artificiale. Serviva a scopi politici e militari. Stabiliva i confini dei due blocchi, senza tener conto della storia dei popoli. Per i Polacchi risultava inaccettabile essere qualificati come popolo dell’Est, anche in considerazione del fatto che i confini della nazione, proprio in quegli anni, erano stati spostati verso Ovest. Presumo che accettare ma simile qualificazione fosse ugualmente difficile per i Cechi, gli Slovacchi, gli Ungheresi, così come per i Lituani, i Lettoni e gli Estoni [7]».

Non si può eludere l’esigenza e lo sforzo della ricerca di un saggio dosaggio tra soggettività e obiettività, che formano un tutt’uno, da mettere a confronto nel dialogo, alla ricerca di nuove approssimazioni al vero.


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Note:
  • [1] Carlo Bo, Siamo ancora cristiani ?, Vallecchi, Firenze 1964, La politica non può escludere una assoluta ricerca di verità (15 Nov. 1957), p. 107.
  • [2] Bo si riferisce a François Mauriac (1885 – 1970), scrivendo su una polemica sorta tra l’uomo politico francese Maurice Schumann e Mauriac.
  • [3] ibidem, p. 106.
  • [4] Questa è una delle critiche mosse a Machiavelli.
  • [5] ibidem, p. 106.
  • [6] Il manuale di Epitteto, traduzione di Giacomo Leopardi.
  • [7] Giovanni Paolo II, Memoria e Identità, Rizzoli, Milano 2005, pp. 168 - 169.