mercoledì 11 giugno 2008

Verità e discrezionalità

La discrezionalità derivante da diverse opinioni sulla verità

Le dimensioni filosofica, letteraria, storica, politica, giuridica esprimono verità di estensione diversa. Ciò concorre a sostenere l’azione discrezionale, la quale, spesso non è accompagnata da dirittura morale.

«
agli uomini politici tocca il controllo dei fatti. (…) [I politici] (...) dimostrano (...) di manovrare nel compromesso alla ricerca di un equilibrio, di pura natura parlamentare.
È vero, uno scrittore non deve rendere conto delle sue azioni e delle sue parole agli elettori, non è questo il suo compito, il suo compito è di ricordare la verità esprimendo sentimenti vivi e inequivocabili [1]».

«[Uno scrittore] [2]
non fa opera di politico, non ha il compito e quindi neppure il dovere della guida quotidiana, ne ha uno più alto e non si vede come si possa impedirglielo [3]».

«
Non si può pensare, non si deve pensare che le faccende politiche vadano risolte nell’ambito ristretto della politica [4], rifiutando ogni sussidio di illuminazione e di approfondimento dal di fuori [5]».

Ciò che rileva non sono i fatti, ma l’opinione che ciascuno si è formato, o ha voluto assumere sui fatti:

«
Gli uomini sono agitati e turbati, non dalle cose, ma dalle opinioni ch’eglino hanno delle cose [6]».

Il simbolo machiavelliano della verità effettuale sembra funzionale ad una chiara lettura dei fatti, ma tale verità è assai ardua da definire:

«
Quando, la sera del 16 ottobre 1978, mi presentai alla loggia della Basilica di San Pietro per salutare i romani e i pellegrini radunati sulla piazza in attesa dell’esito del Conclave, dissi che venivo “da un Paese lontano”. In fondo la distanza geografica non era così grande. Gli aerei la superano in appena due ore di volo. Parlando di lontananza intendevo alludere alla cortina di ferro, in quel momento ancora esistente. Il Papa, che veniva da oltre la cortina di ferro, in un senso molto vero veniva da lontano, anche se in realtà egli veniva dal cuore stesso dell’Europa. Il centro geografico del continente si trova infatti in territorio polacco.
Durante gli anni della cortina di ferro, ci si era quasi dimenticati dell’Europa centrale. Si applicava in modo abbastanza meccanico la divisione in Ovest ed Est, assumendo Berlino, la capitale della Germania, come città - simbolo, appartenente per una parte alla Germania Federale e per l’altra alla Repubblica Democratica Tedesca. In realtà, tale divisione era del tutto artificiale. Serviva a scopi politici e militari. Stabiliva i confini dei due blocchi, senza tener conto della storia dei popoli. Per i Polacchi risultava inaccettabile essere qualificati come popolo dell’Est, anche in considerazione del fatto che i confini della nazione, proprio in quegli anni, erano stati spostati verso Ovest. Presumo che accettare ma simile qualificazione fosse ugualmente difficile per i Cechi, gli Slovacchi, gli Ungheresi, così come per i Lituani, i Lettoni e gli Estoni [7]».

Non si può eludere l’esigenza e lo sforzo della ricerca di un saggio dosaggio tra soggettività e obiettività, che formano un tutt’uno, da mettere a confronto nel dialogo, alla ricerca di nuove approssimazioni al vero.


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Note:
  • [1] Carlo Bo, Siamo ancora cristiani ?, Vallecchi, Firenze 1964, La politica non può escludere una assoluta ricerca di verità (15 Nov. 1957), p. 107.
  • [2] Bo si riferisce a François Mauriac (1885 – 1970), scrivendo su una polemica sorta tra l’uomo politico francese Maurice Schumann e Mauriac.
  • [3] ibidem, p. 106.
  • [4] Questa è una delle critiche mosse a Machiavelli.
  • [5] ibidem, p. 106.
  • [6] Il manuale di Epitteto, traduzione di Giacomo Leopardi.
  • [7] Giovanni Paolo II, Memoria e Identità, Rizzoli, Milano 2005, pp. 168 - 169.

venerdì 29 febbraio 2008

Cinetica

Cosa ha di diverso una palla che rotola da una palla che sta ferma? Della differenza ci rendiamo conto quando andiamo a fermarne il movimento. Quello che rende diverso un corpo in movimento da un corpo fermo è la quantità di energia cinetica che esso possiede. Analogamente partendo dall'assunto che il pensiero scaturisce dal raffinamento delle funzioni sensorio-motrici è possibile realizzare una "sintesi della cinetica fisica e dei movimenti dell'intelletto" identificando in tal modo il fondamento cinetico del pensiero. Si entra nell'inesplorato territorio dell'estetica del movimento in cui sensazioni fisiche e processi cognitivi non sembrano dover portare ad una conoscenza oggettiva assoluta, ma piuttosto ad una dimensione complessa del pensiero. Ogni pensiero nonché le parole che usiamo per esprimerlo, hanno un verso, una direzione ed un senso, ed utilizzarle con proprieta' e coerenza ci avvicina al quel sentimento di appagamento che pervade il ginnasta che compie il suo esercizio con il punteggio pieno, certo di essere riuscito a cogliere l'essenza del suo movimento, il controllo e la sintonia assoluta con il suo strumento corpo, come sintesi di un pensiero cinetico.
In questo senso l'idea di movimento muta radicalmente. Infatti il moto può essere evento relativo, illusorio o, come nel nostro caso, interiore. Il moto è un evento reale che avviene in un ambiente fisico, ma è anche un evento percettivo. Il moto inoltre enfatizza il valore comunicativo dell'evento grazie all'attrazione che esercita sui nostri sensi.
Il pensiero cinetico è una forma elaborata di pensiero plastico ossia di capacità di elaborare almeno tridimensionalmente o ancor meglio cronospazialmente. Esso pensa, organizza, interpreta, valuta, modifica movimenti nello spazio, uno spazio che è esso stesso percettivamente vissuto come potenziale movimento. In esso tempo e spazio sono variabili correlate. Il pensiero cinetico agisce attraverso l'implicita od inconscia definizione di una direzione e di una meta. La direzione definisce l'orientamento. La meta può essere totale (raggiungimento di un punto finale o scopo) oppure può essere parziale, in tal caso si tratta di un nodo (un nodo rappresenta il perseguimento di un obiettivo minore o uno spostamento parziale nello spazio dovuto alla presenza di ostacoli, barriere o necessità di momentanea interruzione di moto o di scostamento per raggiungere un obiettivo intermedio).
La pluralità di direttrici, distinte da nodo a nodo, segnala l’esistenza di una pluralità di situazioni.
Il percorso rivela la logica di connessione ossia il dis-corso che si snoda da un tratto all’altro, esplicitando quali rapporti/motivazioni stanno tra un nodo e l’altro e fra tutti i nodi nel loro insieme.
Anche il pensiero verbale (specie se scritto) è una costruzione e quindi è rappresentabile cineticamente.
Gli elementi sintattici sono composizioni e quindi si possono rendere efficacemente con accorpamenti e accostamenti dinamici. La struttura complessiva di un discorso è rappresentabile cineticamente individuando in esso diversi attributi.
Il discorso ad andamento circolare, parte da un punto e sviluppa sequenze che hanno sempre un medesimo antecedente e susseguente solo che il risultato finale coincide con il punto di partenza e questo può costituire una punto di riavvio senza fine, come una filastrocca che è un meccanismo linguistico cinetico che produce un andamento rotatorio. Molti giochi linguistici hanno andamento cinetico. Ad esempio il chiasmo è una forma linguistica incrociata e contrapposta che può essere espressa cineticamente.
Il discorso è organizzato per forme derivative e sequenze di accadimenti o procedure logiche successive nel tempo. Tutto parte da una o più premesse generali e sviluppa analiticamente alcune parti susseguenti.
Il discorso è organizzato per rimandi, vi è un nucleo centrale che sostiene e connette tutto e alcune parti si sviluppano lateralmente, ma con andamento periodico-circolare.
Il discorso si organizza per parti e sequenze che hanno una loro specificità e autonomia, pur rivelando alcune sezioni che stanno in un rapporto comune con tutte le parti o solo con alcune componenti.
Il discorso è sequenziato dinamicamente per parti che si compenetrano l’una nell’altra e con sequenza dal generale al particolare e viceversa. Oppure è organizzato per sequenze dinamiche piramidali e gerarchiche.
La natura cinetica del linguaggio non è discutibile ed è esatta espressione del pensiero che, per la sua funzione diviene pensiero cinetico.
Attraverso l'etica cerchiamo di osservare la fenomenologia della realtà e di definire in questa il principio del bene e del male. Individuiamo non solo gli estremi opposti ma anche la nostra posizione come deviazione standard tra essi. Lo stesso facciamo anche fuori dalla ristretta cerchia fenomenologica applicando il principio etico al nostro pensiero. Il principio estetico definisca analogamente il concetto di bello e brutto individuando la deviazione standard tra i due opposti. Ma siamo affascinati non solo dall'oggettività ma dal risultato di una scienza preposta allo studio del bello e del brutto così come lo siamo di ciò che Hegel definiva il "sentimento del sublime". La politica accoglie tutte le regole socialmente stabilite dall'uomo, identificando le direzioni, le mete, e gli opposti. Affronta pertanto tutti i temi dell'umano divenire, dalla fede alla ragione dall'estetica all'etica, dalla morale alla guerra. La politica, attraverso le sue regole, pur mutevoli, indica la posizione di uno stato in rapporto agli opposti che tutte le scienze fisiche e morali affrontano. Tale posizione è inevitabilmente in continuo mutamento giacché spinta dalle tensioni di attrazione che ogni opposto esercita sui singoli. Proprio questo continuo movimento che determina lo stato di equilibrio tra gli opposti attraverso la generazione di forze singole è alla base del principio della cinetica. Per cui vogliamo indicare la cinetica come quella costante energia sviluppata dai sistemi opposti per mantenere i singoli nel rispetto delle regole imposte dallo stato.

lunedì 18 febbraio 2008

Politica

La società umana si caratterizza per le sue regole socialmente stabilite, i cui criteri sono pubblicamente accessibili, l'uomo impara a comprendere le regole in un contesto che è sociale. Imparare a fare non significa solo copiare, per l'uomo è fondamentale l'uso della riflessione. Il comportamento che consegue alla comprensione è un comportamento per cui vi è un'alternativa: "un uomo onesto può astenersi dal furto pur avendo la possibilità e persino il bisogno di commetterlo"; un comportamento è volontario se c'è un'alternativa.
Il linguaggio e le relazioni sociali sono fortemente interconnessi: descrivere le relazioni sociali in cui entra una parola permette di descriverne l'uso e quindi di capirne il significato.
La continuazione o meno di una tendenza storica dipende da decisioni umane ed è perciò imprevedibile: "il prevedere la composizione di una poesia o la realizzazione di una nuova invenzione equivarrebbe a comporre la poesia o a realizzare l'invenzione" (
Winch). La razionalizzazione del pensiero forzata dalla necessità di esprimerlo attraverso le regole di un linguaggio impone all'uomo la costruzione di un tessuto sociale relazionale e relazionato.
Il destino viene scritto nel momento in cui si compie e non prima.
I temi della fede e della religione, e del loro conflitto con la cultura laica, sono da qualche tempo al centro di un interesse mediatico crescente, alimentato anche dalle polemiche politiche suscitate dal moltiplicarsi degli interventi e delle "scomuniche" del Papa e della Conferenza Episcopale Italiana contro la modernità. In questo insolito dialogo a tre voci emergono tutti gli interrogativi essenziali legati al problema della formazione del pensiero della società politica, a partire da quello più generale: quali devono essere i rapporti tra filosofia e ateismo? L'"ipotesi Dio" deve ormai essere considerata superflua anche dalla riflessione filosofica, visto che le scienze ne fanno metodologicamente a meno? Quali sono le conseguenze etiche e politiche dell'essere atei o, all'opposto, credenti?
Anche lo sviluppo del linguaggio simbolico nell'uomo è un avvenimento unico nella biosfera, che ha aperto la via ad un'altra evoluzione, quella culturale, delle idee, conoscitiva; l'analisi linguistica rivela una forma comune a tutte le diverse lingue umane, e l’apprendimento della lingua nei primi due-tre anni di vita del bambino è sbalorditivo. L'uomo appartiene perciò contemporaneamente a due regni, la biosfera e il regno delle idee, ed "è al tempo stesso torturato e arricchito da questo dualismo lacerante che si esprime nell'arte, nella poesia e nell'amore umano".
Le regole del comportamento collettivo non sono del tutto modificabili a piacere.
Leggi e norme incidono sugli avvenimenti che possono essere "stati di fatto", "fatti che continuano nel tempo" (processi), eventi (transizione da uno stato di fatto ad un altro). Il concetto di atto umano è connesso al concetto di evento, vale a dire di mutamento nel mondo, agire vuol dire interferire.
Per distinguere gli atti dagli eventi è fondamentale il concetto di agente: agenti empirici e sopra-empirici, agenti personali ed impersonali; gli agenti personali, poi, possono poi essere individuali e collettivi.
L'atto politico è, nei confronti della norma che si propone di cambiare, un atto fondamentale di disobbedienza, quantunque non tutto gli atti di disobbedienza producano effetti politici. Tuttavia non tutti gli atti di disobbedienza politicamente significativi sono "possibili", per ragioni che possono andare dalla necessità, alla convenienza; dall'opportunità all'analisi delle conseguenze. Poiché non ogni disobbedienza è possibile, l'azione politicamente efficace è quella che meglio di altre tiene conto delle conseguenze che ne derivano: è politica delle riforme, graduale, progressiva, conseguenziale, controllata e consensuale.
Nell'ermeneutica della via ascendente, la filosofia ha il diritto e il dovere di sottoporre a critica il dato storico ed economico. La politica, che ha il compito di essere efficace, deve invece fare i conti con questo dato come con un vincolo. Se un platonico moderno volesse riproporre il progetto di una repubblica fondata sulla comunità della conoscenza e sull'autonomia dell'anima razionale, si troverebbe ancora di fronte ai tre vincoli dell'economia, dell'eros privato e della retorica, ma i loro caratteri - storici - sarebbero profondamente diversi. La via ascendente permette di cogliere il merito filosofico più durevole: la scoperta dell'autonomia della ragione e il tentativo di darle un ruolo direttivo non solo nella comunità scientifica, ma anche in quella politica. Il Pireo in cui Socrate discende è oggi un luogo molto diverso, e con diverse servitù: ma il problema di costruire una comunità scientifica e politica compatibile con l'autonomia della ragione ritorna continuamente dal mondo dei morti - a meno che non vogliamo ridurre la filosofia politica a intrattenimento retorico, nell'orizzonte angusto dell'attualità cronistica.
Ma vi è anche un altro senso in cui è possibile dire che l'attività politica degli uomini è soggetta a limiti. Oltre alle condizioni esterne di necessità, oltre alle sanzioni collegate alle norme esistenti, vi è la questione non secondaria della cosiddetta razionalità imperfetta. Diciamo che l'uomo è un soggetto politico imperfetto anche perchè è razionalmente limitato.
In particolare, è la debolezza della volontà e la consapevolezza di questa debolezza, ad essere alla base della teoria della razionalità imperfetta, la quale pone limiti sostanziali alle azioni di tipo politico: "farsi legare" significa allora imporsi degli obblighi ai quali vincolare il proprio comportamento e le proprie azioni; ciò accade, ad esempio, nell'attività costituente, ultimo atto politico e neutralizzazione della capacità politica futura.
La razionalità imperfetta produce l'immagine dell'uomo "politico imperfetto": l'attività politica in senso forte (ad alta intensità) non è perciò una condizione normale dell'azione umana, bensì una condizione eccezionale, straordinaria, che si sviluppa in certe situazioni che sono già, esse stesse, straordinarie, nel senso che non sono riconducibili a quelle regole del gioco collettivo che, ordinariamente, governano la quotidianità. La consapevolezza dell'imperfezione porta l'uomo sul baratro dell'osservazione dei propri limiti: «Ebbi ben presto abbastanza chiaro che il mio lavoro doveva camminare su due binari: l’ansia per una giustizia sociale che ancora non esiste, e l’illusione di poter partecipare, in qualche modo, a un cambiamento del mondo. La seconda si è sbriciolata ben presto, la prima rimane» (De Andrè).
La definizione di uno stato politicamente organizzato introduce il dualismo tra governanti e governati, tale rapporto politico può essere considerato "ex parte principis o ex parte populi" (Machiavelli o Rousseau, teoria della ragion di stato o teoria del costituzionalismo). In questo dualismo, mentre è facile individuare i "governati" diventa interessante definire i "governanti", sembra che lo Stato abbia perso il monopolio del "politico": settori fino ad oggi neutrali (non-statali e non-politici) si caricano sempre più di significato politico; in democrazia, i settori religioso (confessionale), culturale, economico, giuridico, scientifico, educativo non possono più essere contrapposti a "politico", così come viene meno la contrapposizione stato-società (politico contro sociale). Si pensi al concetto di uomo politico nelle sue sfaccettature: in morale, buono/cattivo; in estetica, bello/brutto; in economia, utile/dannoso (o anche redditizio/non redditizio); in politica, amico/nemico. La distinzione, che non è metaforica o simbolica ma concreta, indica il massimo grado di un'associazione-dissociazione e non è riconducibile alle altre: non necessariamente il nemico deve essere cattivo, brutto, economicamente dannoso.
Il nemico è pubblico: hostis e non inimicus che è il solo nemico da amare per il cristiano. Ha la possibilità concreta di combattere; la contrapposizione è tanto più politica quanto più si avvicina al punto estremo, che è la guerra. I termini politici sono anche polemici, ciascuno è la negazione di qualcos'altro (repubblica come non-monarchia); per i contrattualisti il "politico" non solo è assimilato a "statale" ma è anche in contrapposizione negativa ad altri concetti: la politica liberale è critica politica, in contrapposizione a Stato, Chiesa, Governo, ecc.
E' il grado di intensità della distinzione amico-nemico a determinare il "politico": è sempre politico il raggruppamento orientato al caso critico. La possibilità reale del nemico è il presupposto della politica; lo Stato Universale rappresenterebbe pertanto la fine della politica.
Una linea politica nega cose ad alcuni e le rende accessibili ad altri: è una rete di azioni e decisioni che distribuiscono i valori; una decisione isolata non è una linea politica, una decisione è solo la fase formale di una linea politica: occorre agire per attuarla.
La vita politica è vita di gruppo ed è costituita da prassi legali e da prassi effettive; la scienza politica esamina ogni possibile modo in cui avvengono assegnazioni autoritarie di valori (o linee politiche): tutti i meccanismi sociali, sono strumenti per assegnare valori, il sistema di valori totale abbraccia tutta la scienza sociale di cui quella politica è una parte.
I confini di un sistema politico sono soggetti a fluttuazioni (guerre, elezioni, ribaltoni); ogni sistema politico effettua transazioni con il suo ambiente esterno, che modella e da cui viene modellato: gli input e gli output concernono i confini del sistema politico, al cui interno troviamo i processi di conversione degli uni negli altri.
Oltre a questo, i sistemi politici si caratterizzano anche per importanti funzioni di mantenimento e di adattamento: la funzione di reclutamento politico; la funzione di socializzazione politica, attiva sin dall'infanzia, che è il processo di conservazione e di trasformazione della cultura politica. Gli input, o flussi in entrata del sistema politico, sono le domande, che influenzano decisioni ed obiettivi politici, ed i sostegni che forniscono al sistema politico le risorse necessarie per conseguire i propri obiettivi. Gli output, o flussi in uscita del sistema politico, sono le risposte, intese come quel complesso sistema di norme e regole che influenzano le azioni all'interno degli stati e i rapporti tra gli stati stessi. La funzione di aggregazione degli interessi converte le domande in scelte politiche, attraverso i partiti politici e lo sviluppo politico.
Un programma politico combina un programma di governo con un programma fondamentale, è un catalogo di iniziative e di ragioni per intraprenderle. Principi e politiche sono interdipendenti, "i principi scelgono le promesse, le politiche devono mantenerle":

  • principi senza politiche sono impraticabili;
  • politiche senza principi razionalizzano interessi parziali;
  • in programmi centrati su principi (i principi hanno priorita' sulle politiche) il criterio è esplicito;
  • in programmi centrati su politiche il criterio è invece implicito, oscuro, irriconoscibile;
la buona politica liberale scopre principi trattando casi particolari, non parte da principi applicati deduttivamente, e distingue problemi da stati di fatto, avanza tesi per risolvere problemi.
In politica, due sono i gruppi fondamentali, il partito e l'elettorato: "se volete promuovere qualche riforma, dovete prima persuadere il vostro partito a adottare la riforma, poi persuadere l'elettorato a adottare il vostro partito" (B. Russell).
Il primo principio dell'etica, non può essere la realizzazione di se perché l'uomo è un animale sociale. La politica come "cosa mondana", indegna, deriva dalla dottrina cristiana, che sostituisce al peccato collettivo degli ebrei (peccato "politico") il peccato individuale e rende la Chiesa intermediaria di Dio. Il peccato ha origine dalla libertà (contraddizione fra determinismo e libero arbitrio). Ma la politica è necessaria perché è elemento costitutivo della nostra esperienza, e non semplicemente una sua parte; il suo campo d'azione può restringersi, ma non scomparire.
Il pensiero politico si caratterizza per codici binari, contrapposizioni fra amici e nemici (l'identità è determinante per ogni entità politica), inclusi ed esclusi, pubblico e privato. La sfera politica ha pertanto tre dimensioni:
- identità, che è la dimensione espressiva del politico (chi siamo?);
- potere, che è la dimensione strumentale del politico (chi ottiene cosa, quando e come);
- ordine, dimensione regolativa del politico.
Tutte le dimensioni implicano conflitto (chi decide, come e quali decisioni prende, ecc). La nozione di fine indica termine (morte) ma anche significato (scopo); tutte le affermazioni in tal senso sono o retoriche oppure meta-narrazioni (descrivono una nuova fase dell'evoluzione): anche le rivoluzioni conservano elementi di continuità col passato.
La storia umana è iniziata e si è evoluta con atti di disobbedienza (miti di Adamo ed Eva e di Prometeo); la disobbedienza può essere un atto contro (ribellione) o per qualcosa, di affermazione della ragione. Libertà e disobbedienza sono inseparabili, non si può proclamare la libertà e insieme bandire la disobbedienza.
L'atto politico è un atto fondamentale di disobbedienza.
La politica tuttavia non produce (o promuove) sempre delle "verità", se così fosse che destino subirebbero le grandi categorie del pensiero politico, la democrazia, l’eguaglianza etc? Bisogna temere la democrazia piegata in senso mercantile, la democrazia elettorale, quella che si esplica con il voto alle elezioni alla stessa maniera in cui il consumatore sceglie al mercato il bene a lui più utile. In questo modo, la politica, la democrazia e l’eguaglianza non sono nient’altro che pure appendici dello Stato, forme di manifestazione di quella figura che sopprime il pensiero collettivo nell’evento che è lo Stato parlamentare.
C’è un altro modo, invece, per ricongiungere democrazia e eguaglianza ridando nel contempo significato ad entrambi i concetti: si tratta di intendere la democrazia come pura esposizione del collettivo sulla scena pubblica che non tollera che si applichino ad esso prescrizioni particolari, vale a dire enunciati non egualitari.
La democrazia è egualitaria nel suo senso più profondo proprio perché permette di sfuggire alle codificazioni particolaristiche cui è costretto a ricorrere lo Stato. Democrazia è dismissione delle categorie di “immigrato”, “arabo”, “francese”, in quanto parole che “rinviano necessariamente la politica allo Stato e lo Stato stesso nella sua funzione più essenziale e più bassa: il novero non egualitario degli uomini”.

domenica 17 febbraio 2008

Estetica

Pensiamo all'estetica come la scienza del bello, agli inizi se ne faceva una filosofia, uno studio di pensiero, oggi abbiamo ridotto l'estetica unicamente ad una chirurgia. Ma questo non deve demoralizzare coloro che ancora cercano di cogliere il bello e la "scienza del bello", così come la intende Baumgarten: "scienza del Bello, delle arti liberali e gnoseologia inferiore, sorella della Logica", ovvero come scienza preposta allo studio dei concetti di bello intesi come categoria, delle attività artistiche (arti liberali), ma ancor di più come studio delle percezioni sensibili ovvero della conoscenza ottenibile attraverso i sensi (gnoseologia inferiore). Conoscenza opposta e complementare rispetto a quella ottenibile attraverso la mente. L'estetica studia dunque la percezione del bello nella quale è necessario introdurre il binomio di Langer "arte e vita". L’arte rappresenta una forma simbolica e, in quanto tale, essa dà conoscenza di una peculiare realtà: la vita del sentimento. Il binomio di Langer deve essere considerato nella sua bidirezionalità: l’arte come la vita, e la vita come l’arte. I luoghi tematici della teoria estetica si intrecciano e comprendono l'arte, il simbolo e la dimensione sentimentale. L'arte è dunque forma significante, ossia simbolo del sentire. Dell'estetica ci è facile cogliere il significato di bello e di brutto, mentre meno facile è stabilire le regole all'interno delle quali questo processo trova una definizione. Ancora possiamo percepire l'intuizione di un estetica oggettiva e di una soggettiva, pur comprendendo la difficoltà di stabilirne delle regole. Kant ci viene incontro nell'individuazione del concetto di "brutto soggettivo" legato alla sensazione di disgusto. Sia Cartesio che Kant dicono che il disgusto suscita una reazione che non è teorica, ma che è fisiologica, e che riporta quindi il gusto al suo livello originario. Il disgusto nasce allora nel momento in cui abbiamo una difficoltà alla rappresentazione, o addirittura una impossibilità alla rappresentazione. Kant osserva che il disgusto è dato dall'impossibilità di rappresentare il nostro piacere. Quando questo accade, significa che noi non siamo in grado di formulare un giudizio sull'oggetto tale da ricondurre l'oggetto medesimo all'interno delle nostre facoltà conoscitive, all'interno del nostro comune sentire di uomini. Allora noi respingiamo quell'oggetto. Il disgusto è il limite della nostra estetica soggettiva ovvero definisce i confini soggettivi dell'Estetica del Brutto.
La percezione soggettiva è comunque agita indipendentemente dalla volontà, pertanto la definizione di estetica soggettiva è determinata, secondo le opportune variabili, dall'impatto che ogni oggetto suscita ai nostri sensi ovvero alla sensazione che ci lascia, Tale percezione non è scindibile dal fattore spazio-tempo, pertanto non è infrequente che le nostre sensazioni possano variare pur restando invariato l'oggetto che le suscita. La variazione cinetica sensoriale è propria delle percezioni umane per loro natura soggettive e relative.
Ben altro approccio è necessario per la definizione di una estetica oggettiva, intesa come giudizio estetico oggettivo. Questa volta il bello non è rappresentato nell'opera oggetto della percezione ma è nella stessa oggettività della natura. Questo Hegel lo chiama il "sentimento del sublime".
Il sentimento del sublime matematico è quello per il quale tutti noi di fronte a fenomeni di smisurata grandezza (lo spazio cosmico) o del sublime dinamico, di smisurata potenza naturale (una grande cascata), proviamo, per i nostri stessi limiti, un senso d'insufficienza, di paura, timore. Ma in un secondo tempo, quando riemerge la nostra razionale volontà, questo sentimento della propria impotenza sensibile rivela per contrasto la coscienza di una potenza illimitata, di una nostra superiorità in quanto razionalità operante che trasforma in positivo il precedente sentimento negativo.
Il sublime, considerato quale impressione isolata, singola sensazione avulsa da rapporti formali, non implica universalità; la bellezza, rappresentando l'oggetto di un giudizio che prescinde dal mutevole della sensazione empirica, si offre quale realtà formale che non colpisce il soggetto dall'esterno rendendolo passivo. Laddove il bello presuppone forma, proporzione, e misura, il sublime è riconducibile alla grandezza senza limiti e colpisce direttamente i sensi. All'origine del piacere per il bello si situa così una qualità oggettiva, fondata sulle leggi della sensibilità.

sabato 16 febbraio 2008

Etica

Si potrebbe iniziare questo viaggio nel pensiero alla ricerca del senso dell'etica, con il principio ispiratore della fenomenologia sintetizzato nella frase: "Nulla accade invano", per cui è proprio dell'uomo di pensiero il guardare il mondo con gli occhi spalancati (come dice Edith Stein). é dunque importante che gli occhi siano vigili ma assolutamente scevri del filtro e dell'interpretazione che la mente ingannatrice impone come filtro tra la realtà fenomenologica e la nostra comprensione della stessa. E' necessario crescere attraverso ferree regole perché il nostro sguardo sia puro tanto da cogliere l'essenza di ciò che vediamo senza perdere l'intimo significato di ogni singolo elemento nel rispetto del principio di evidenza e del principio di trascendenza.
Ogni tipo di cosa ha un suo modo specifico di lasciarsi conoscere, ovvero di apparire per quello che è nella sua essenza (Principio di evidenza); così come ogni tipo di cosa ha un suo modo specifico di trascendere la sua apparenza, ovvero di essere realmente oltre ciò che appare (Principio di trascendenza). Questa è l'essenza dei rapporti tra fenomeni e realtà, apparenza ed essere.
La realtà impone tuttavia un ulteriore sforzo nella comprensione giacché essa è nell'attimo in cui si manifesta ma diviene "esperienza" nell'attimo immediatamente successivo. Ecco l'enorme fatica di voler regolare lo spazio ed il tempo per imporre dei canoni all'interno dei quali la nostra realtà fenomenologica possa sempre restare fedele a se stessa. In ogni caso "evidenza" e "trascendenza" non possono essere principi disgiunti ma trovano coesistenza nel pensiero di quegli uomini che vivono di puro pensiero nell'osservazione che è priva del giudizio.
La grande tentazione, comune a gran parte del pensiero occidentale: è quella di proclamare che la volontà umana non è solo potere di decidersi per una qualunque condotta, sia essa giusta, ingiusta o neutra, ma addirittura è potere di statuire che cosa sia bene e cosa sia male. Chi accoglie questa tesi si arroga il diritto di sottrarsi ad ogni confronto con l’evidenza (nel senso latino della parola: ciò che si vede).
E ciò che si vede oggi, fonte di grande confusione, è il preciso atteggiamento legato alla fenomenologia dell’assenza di pensiero che sembrerebbe alla base dell’incapacità di vedere la differenza tra il giusto e l’ingiusto: tra il bene ed il male. Questa è una “deficienza del sentire”. Ma il sentire, come il percepire può essere più o meno adeguato, è precisamente uno di quei presupposti del volere, senza i quali questo, si trasforma da potere di decidere nella libertà (ovvero di scegliere) a potere di statuire. E questo è il salto illogico capace di disintegrare la stessa possibilità di un’etica.
Mentre per quanto riguarda la realtà dei fatti, essi stanno come stanno indipendentemente da ciò che noi ne pensiamo, per quanto riguarda gli enunciati, la realtà può renderli veri o falsi solo a condizione che noi li costruiamo in modo che abbiano ben definite condizioni, ovvero che abbiano la possibilità dei essere veri o falsi.
Un enunciato tuttavia non ha la possibilità di essere vero se contiene la possibilità di essere interpretato in modo che dia luogo a proposizioni diverse ovvero se contiene espressioni ambigue. Questa è una irresponsabilità nell’uso della parola. Questo principio di irresponsabilità del linguaggio non esprime un razionalismo ossessivo, ma solo un invito a restare vigili e consapevoli di quello che si ascolta (o si dice) nelle diverse occasioni. Poiché consideriamo il linguaggio il mezzo attraverso il quale si rendono espressi i pensieri, esso deve essere sempre corretto nel rispetto intimo di quanto si intende esprimere. L'ambiguità del linguaggio conduce (ed induce) inevitabilmente ad una ambiguità di pensiero e pone quei filtri interpretativi che allontanano dalla realtà fenomenologica introducendo un principio di soggettività nell'etica stessa. In questo si consuma il grande inganno dell'era moderna che ha affidato alla "comunicazione" mediatica il proprio messaggio senza valutare i limiti e le ambiguità di questa.
In questo contesto diviene forte l'esigenza di una rinata responsabilità nell’uso del linguaggio, resa possibile e necessaria dalla consapevolezza del peso logico delle parole, che è il dono della moderna analisi logica e il frutto della costruzione di quegli strumenti di precisione del pensiero puro che sono i linguaggi sintatticamente dominabili e semanticamente definiti detti “formali”.
Non bisogna aver paura degli strumenti umani che offre la logica, anzi occorre considerarli preziosissimi sistemi di controllo del pensare, vale a dire ausilio all’espressione trasparente e non ambigua dei pensieri senza alcuna esclusione se non quella dei non-pensieri ovvero quelle costruzioni verbali che sembrano avere senso teorico, perché sono grammaticalmente corrette, ma che non hanno condizione di verità poiché celano simultaneamente pensieri diversi a volte reciprocamente contraddittori. La responsabilità nell’uso del linguaggio è questione di etica: in questo senso è vero che la logica è l’etica del pensiero.

venerdì 15 febbraio 2008

Incipit

«Spe salvi facti sumus», da questa osservazione voglio iniziare questo "dia(B)LOGo", e dalla consapevolezza che solo nella "speranza" è il significato delle nostre esistenze. L'incipit lo sto utilizzando per delineare alcuni concetti chiave che faranno parte del discorso che segue, alcune volte saranno pensieri scollegati o semplici citazioni le cui fonti si ritengono sufficientemente note.

Mi soffermo a pensare al significato dell'esistenza, a cercare di coglierne un senso poiché mi è arduo pensare che "tutto sia invano". Una esistenza senza senso e scopo che ineluttabilmente, senza mai cessare di esistere, ritorna nel nulla: è l'essenza stessa, la forma estrema del nichilismo che offre alla morale solo un eterno e ciclico "non senso". Ecco dove interviene l'etica quando è alimentata da quella "speranza" intesa come la «docta ignorantia» per la quale pur consapevoli dei limiti dell'uomo si percepisce la tensione verso la verità. Abbandono la facile morale, quella scritta sui muri, quella urlata nelle strade, quella troppo spesso riflessa sul monitor, perché la sfida è quella di giungere alla verità, di sentirne il profumo nell'equilibrio del pensiero puro.

Mi soffermo a pensare alle ragioni della bellezza, poiché in questa esistenza abbiamo cognizione del bello e del brutto, ed intendo non solo dal punto di vista estetico, ma in quanto profondità di rapporto tra espressione della mente e luogo della percezione. Per non ridurre l'estetica ad una serie di canoni rispettati nelle forma d'arte, per non lasciarla alle sfide teoriche di una critica asettica, ma per interiorizzarla nel intimo e personale rapporto tra pensiero, luogo ed emozione. Ecco, in questo approccio empatico, etica ed estetica giungono ad un punto di incontro.

Mi soffermo a pensare alle ragioni che governano il mondo, poiché l'etica spiega l'esistenza, l'estetica ne definisce il luogo, è la politica che ne definisce le regole. La politica mondiale oggi fondata su due principi fondamentali: polarità e identità. Cerco le ragioni che ci stanno governando, cerco un principio di equità nel rispetto morale di un patrimonio mondiale che non ci appartiene e del quale usufruiamo senza remore. «Dovete adunque sapere come è sono dua generazioni di combattere: l'uno, con le leggi; l'altro, con la forza. Quel primo è proprio dello uomo; quel secondo, delle bestie. Ma perché el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo: pertanto a uno principe è necessario sapere bene usare la bestia e l'uomo [...] e l'una senza l'altra non è durabile». Questo è tanto vero quanto agghiacciante.

Mi soffermo a pensare che etica, estetica e politica sono definiti attraverso la relazione di differenti valori (variabili) ed il loro costante mutare definisce un movimento che altro non è che l'andamento della nostra esistenza. Da questo movimento nasce la velocità del nostro quotidiano ormai distante dalla scansione classica del tempo. Nella meccanica classica il movimento produce energia, e l'energia produce lavoro e quindi consideriamo il lavoro l'energia necessaria per muovere un corpo; nella meccanica relativistica (dopo Einstein) scopriamo che la velocità della luce non può essere raggiunta da alcun corpo materiale mediante accelerazione. In altre parole scopriamo che il lavoro ha un limite.
«Spe salvi facti sumus»: nella speranza siamo stati salvati!