venerdì 15 febbraio 2008

Incipit

«Spe salvi facti sumus», da questa osservazione voglio iniziare questo "dia(B)LOGo", e dalla consapevolezza che solo nella "speranza" è il significato delle nostre esistenze. L'incipit lo sto utilizzando per delineare alcuni concetti chiave che faranno parte del discorso che segue, alcune volte saranno pensieri scollegati o semplici citazioni le cui fonti si ritengono sufficientemente note.

Mi soffermo a pensare al significato dell'esistenza, a cercare di coglierne un senso poiché mi è arduo pensare che "tutto sia invano". Una esistenza senza senso e scopo che ineluttabilmente, senza mai cessare di esistere, ritorna nel nulla: è l'essenza stessa, la forma estrema del nichilismo che offre alla morale solo un eterno e ciclico "non senso". Ecco dove interviene l'etica quando è alimentata da quella "speranza" intesa come la «docta ignorantia» per la quale pur consapevoli dei limiti dell'uomo si percepisce la tensione verso la verità. Abbandono la facile morale, quella scritta sui muri, quella urlata nelle strade, quella troppo spesso riflessa sul monitor, perché la sfida è quella di giungere alla verità, di sentirne il profumo nell'equilibrio del pensiero puro.

Mi soffermo a pensare alle ragioni della bellezza, poiché in questa esistenza abbiamo cognizione del bello e del brutto, ed intendo non solo dal punto di vista estetico, ma in quanto profondità di rapporto tra espressione della mente e luogo della percezione. Per non ridurre l'estetica ad una serie di canoni rispettati nelle forma d'arte, per non lasciarla alle sfide teoriche di una critica asettica, ma per interiorizzarla nel intimo e personale rapporto tra pensiero, luogo ed emozione. Ecco, in questo approccio empatico, etica ed estetica giungono ad un punto di incontro.

Mi soffermo a pensare alle ragioni che governano il mondo, poiché l'etica spiega l'esistenza, l'estetica ne definisce il luogo, è la politica che ne definisce le regole. La politica mondiale oggi fondata su due principi fondamentali: polarità e identità. Cerco le ragioni che ci stanno governando, cerco un principio di equità nel rispetto morale di un patrimonio mondiale che non ci appartiene e del quale usufruiamo senza remore. «Dovete adunque sapere come è sono dua generazioni di combattere: l'uno, con le leggi; l'altro, con la forza. Quel primo è proprio dello uomo; quel secondo, delle bestie. Ma perché el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo: pertanto a uno principe è necessario sapere bene usare la bestia e l'uomo [...] e l'una senza l'altra non è durabile». Questo è tanto vero quanto agghiacciante.

Mi soffermo a pensare che etica, estetica e politica sono definiti attraverso la relazione di differenti valori (variabili) ed il loro costante mutare definisce un movimento che altro non è che l'andamento della nostra esistenza. Da questo movimento nasce la velocità del nostro quotidiano ormai distante dalla scansione classica del tempo. Nella meccanica classica il movimento produce energia, e l'energia produce lavoro e quindi consideriamo il lavoro l'energia necessaria per muovere un corpo; nella meccanica relativistica (dopo Einstein) scopriamo che la velocità della luce non può essere raggiunta da alcun corpo materiale mediante accelerazione. In altre parole scopriamo che il lavoro ha un limite.
«Spe salvi facti sumus»: nella speranza siamo stati salvati!

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